Come risponde il nostro cervello alle emergenze?

a cura della dott.ssa Marianna Esposito e del dott. Simone Kalman

La vita alla finestra: cosa vedi se ti affacci? Ultimamente capita di provare cose bizzarre, come se guardando fuori si scorgesse il mondo proseguire, ma senza di noi. Quando queste sensazioni fanno capolino ci si può sentire impotenti e spaventati. Rallentati dalla vita che ci abita dentro. Per qualcuno non è raro sentirsi così immobile, congelato: qualcuno infatti conosce bene questa fatica e la conosce da tempo. Eppure…nella situazione surreale di emergenza che stiamo vivendo le vite nelle case d’altri non vanno più a velocità diverse. Dalle finestre si scorgono le stesse camere disordinate, gli stessi letti da rifare. Si sente lo stesso profumo di caffè e si sentono le stesse vecchie canzoni risuonare. La vita che ci abita dentro oggi somiglia, se non per contenuti per modalità, a quella di chi ci è vicino. A quella di chi ci è lontano. Appartenere significa condividere significati, obiettivi. Vuol dire fare il tifo per la stessa squadra: la squadra che si è. La vita alla finestra: cosa vedi se ti affacci? Condividi con noi: un disegno, una foto, un racconto… siamo una squadra anche noi. Passiamola assieme questo periodo!

LE 10 REAZIONI DEL CERVELLO AL CORONAVIRUS (COVID-19)

Fonte: https://thewam.net/coronavirus-reazioni-cervello-psicologia/
Autore: Marwa Azab Ph.D. on Psychology Today (traduzione e adattamento a cura della dott.ssa Francesca Pisacreta, esperta in Neuropsicologia)

A questo interessante articolo, aggiungiamo le riflessioni della psicologa psicoterapeuta dott.ssa Marianna Esposito e del logopedista dott. Simone Kalman.

1️. Il cervello prova a compensare la frustrazione derivante dai problemi irrisolvibili creandone altri risolvibili.

Ad esempio, l’assalto alla carta igienica! Cibo, riparo e farmaci sono i bisogni più necessari. Quando creiamo una scorta di cose indispensabili, l’aver trovato una soluzione a questo problema gestibile ci fa provare un senso di vittoria e controllo.
Simo: A volte i problemi sembrano insormontabili perché siamo noi ad alimentarli. Quando lavoro con persone che hanno problemi alle corde vocali, chiedo sempre che uso fanno della loro voce. Spesso sono insegnanti di scuola, e mi rispondono più o meno così: “In classe i bambini urlano, e per farmi sentire devo sovrastare le loro voci”. Se all’inizio può funzionare, presto i bambini si abituano al nuovo volume, e nasce un circolo vizioso di voci via via più urlate. Chiaramente, questa “gara a chi fa la voce grossa” non produce l’effetto desiderato. Allora propongo una strategia diversa: invece che parlare forte, spegnere la luce per qualche istante. Farsi “vedere” invece che farsi “sentire”. Per abitudine, ci impuntiamo su soluzioni che non funzionano; in alcuni casi possiamo ottenere gli stessi risultati (o migliori!) provando una strada nuova.
Mari: Dedichiamoci a qualcosa che ci faccia sentire il potere gestionale della situazione in modo funzionale! Ben vengano le ricette che non si ha mai il tempo di preparare (come quell’urgenza buffa di cucinare il dado faidate), ben vengano i rifacimenti degli album fotografici (cartacei e non!), ben accetti i cambi degli armadi. Ben vengano gli “attacchi d’arte”: improvvisiamoci poeti, cantautori, romanzieri. Ok, pollice verde e bricolage non sono il mio forte e chi mi conosce lo sa bene: ma perché non tentare lo stesso? A volte nelle cose semplici si trova riparo dalle tempeste emotive.

2. Perché non seguiamo le soluzioni semplici?

Il governo ha rilasciato semplici raccomandazioni, ad es. lavarsi spesso le mani, limitare i contatti. Ma il cervello assume che per risolvere problemi complessi ci vogliano soluzioni complesse.
Simo: Vale lo stesso anche per me! Nel pensiero comune la riabilitazione è fatta di strumenti ipertecnologici, manovre complicate, bendaggi variopinti, app incredibili… Invece, in molti casi la riabilitazione è una riscoperta: il corretto schema del cammino, per risolvere il mal di schiena; giocare col proprio bambino, per stimolare il suo linguaggio; masticare piano, per evitare che il cibo vada per traverso. Togliere l’inutile invece che mettere qualcosa di nuovo. Facciamo un tentativo? Proviamo a ripartire dalla base: la prossima settimana ci dedicheremo alla respirazione.
Mari: Spesso ai bambini che seguo in terapia propongo questo gioco: quando mi raccontano dei brutti sogni chiedo loro di pensare insieme a me come potrebbe finire bene e, a volte, ne scriviamo una storia o ne disegniamo i personaggi. E se a fare questo gioco fossimo anche noi “grandi”? Prendiamo un pensiero faticoso, una paura invadente e chiediamoci come potrebbe migliorare o cosa potrebbe aiutarci. E, perché no, scriviamolo! Rendere una preoccupazione affrontabile, seppur anche solo nel pensiero, ne diminuisce le dimensioni. Chiedete ad un bambino come ha fatto a sconfiggere il mostro del buio accendendo una fioca lucina: il motivo è che lo ha creduto possibile.

3.Il cervello segue la legge del minimo sforzo. Gli piace inserire il pilota automatico.

Abbiamo le nostre routine giornaliere, settimanali. Quando vengono sospese, siamo cacciati via dalla comfort-zone del pilota automatico e siamo costretti ad utilizzare il sistema cerebrale deputato al pensiero logico e al ragionamento e, in emergenza, dobbiamo farlo di continuo. Questo potrebbe spiegare perché i giorni successivi all’annuncio di un’emergenza non lo realizziamo/accettiamo appieno, ma ci si sente comunque affaticati a fine giornata.
Mari: Creiamo una nuova routine. Rendiamo le nostre giornate prevedibilmente ordinarie e autenticamente diverse da quanto noto in passato. Prendiamo nota di quanto proviamo nel momento presente: affidiamo ad una penna il compito di tradurre in parole l’inchiostro informe che abbiamo dentro oggi.
Simo: Le montagne son più faticose da scalare se non prevediamo delle tappe intermedie! Una volta creata la nuova routine, non abbiamo fretta di metterci dentro tutto ciò che dobbiamo portare a termine. Stabiliamo una gerarchia di priorità; poi, pianifichiamo le attività da svolgere ma anche le pause e le ricompense! Non possiamo andare in pizzeria o al cinema, però il piacere di guardare un be film sul divano ce lo possiamo concedere lo stesso.

4. Perché ci abbuffiamo?

La tua parte inconsapevole ha ricevuto il messaggio che siamo in emergenza! Non sa se ci sarà un prossimo pasto. Così ti porta a mangiare in eccesso per preservare grasso per l’emergenza che secondo lui potrebbe arrivare. È guidato da buone intenzioni: aumentare la sopravvivenza nel caso il cibo scomparisse.
Mari: È un comportamento antico e conservativo. Uno di quegli atteggiamenti istintivi che col passare dei giorni sarà sempre più filtrato dalla presa di coscienza che le risorse alimentari non sono limitate. Tenete un diario alimentare e provate ad immaginare menù giornalieri: fate la spesa in modo mirato, scrivendo prima una lista di cose di cui avete bisogno. E ovviamente, uscite responsabilmente!
Simo: Ancora il “pilota automatico”! Quando siamo in una situazione nuova, oppure quando siamo in conflitto, perseveriamo nei soliti automatismi. Un po’ come quando siamo stanchi e, per distrazione, mettiamo diverse volte il sale nell’acqua della pasta. Proviamo a mettere un freno all’impulso del “fare”; scaliamo la marcia, rallentiamo e guardiamoci intorno. Dove ci troviamo, e dove ci stiamo dirigendo?

5. Abbiamo affrontato situazioni difficili in passato e le abbiamo gestite. Perché non usare gli esempi passati per ridurre la nostra ansia?

Gli ormoni dello stress sono rilasciati in abbondanza in queste situazioni e agiscono in modo negativo sulla memoria, quindi non possiamo accedere facilmente agli esempi passati.
Mari: Nessuno si sarebbe immaginato uno scenario simile, visto solo in fantasiosi film apocalittici. Il problem solving non è allenato per questo: non abbiamo una cassa degli attrezzi sufficientemente fornita. Pensare al lungo termine non ci permette di stare nel “qui e ora” e ci costringe a proiettarci in un futuro ignoto. L’invito è dedicarsi alla gestione di un giorno dopo l’altro, alla risoluzione delle questioni che ogni giornata ci porta. Molto più utile capire oggi come fare il bucato dei capi delicati senza rovinarli piuttosto che pensare a quanto difficile sarà la riparazione di un maglione eventualmente compromesso: il rischio è di restare immobili, congelati dal timore di sbagliare o dalla paura di non saper fronteggiare l’imprevisto.
Simo: Quando perdiamo la bussola può essere utile crearsi dei nuovi punti di riferimento. Un lavoro che propongo spesso alle famiglie con cui lavoro è il “Quaderno dell’efficacia comunicativa”. Che si tratti di problemi di voce, di bambini piccoli con ritardo di linguaggio o difficoltà comunicative causate da lesioni cerebrali, analizziamo quali strategie hanno reso efficace l’interazione nel quotidiano. Tra i comportamenti che abbiamo messo in atto, cosa ha funzionato? Come possiamo riprodurli? Così facendo, alla fine del percorso avremo ottenuto un repertorio di comportamenti fruibili per supportare lo scambio comunicativo in famiglia. Può essere un’idea da provare anche in altri contesti?

6. Perché il mio lobo frontale non mi fa calmare?

I sistemi “alti” che si occupano di presa di decisione, come la corteccia frontale, sono connessi alle parti emotive più “basse” come l’amigdala. Queste parti superiori mettono un freno quando le parti emotive vengono sopraffatte. Nelle emergenze, l’amigdala prende il posto del guidatore, il cervello diventa eccessivamente prudente, anche cadendo in errore. Così, le fake news e le storie un po’ anomale guadagnano credibilità.
Simo: Per la paura ci fermiamo anche quando in realtà potremmo procedere. Mi viene in mente la fase dello svezzamento: molti genitori sono preoccupati dall’introduzione di nuovi alimenti, per la paura che il piccolo si soffochi. In realtà la bocca, la faringe e la laringe del neonato hanno una conformazione che offre una protezione anatomica al soffocamento, migliore della nostra. Siamo più a rischio noi adulti!
Mari: Se non riusciamo ad arginare la nostra parte più morbosamente curiosa, proviamo a scegliere solo due momenti della giornata in cui informarci sulla situazione che ci riguarda e valutiamo solo fonti ufficiali e attendibili. Avere paura è normale: la proviamo tutti. L’importante è non darle lo spazio necessario affinché diventi “senza sbocco”: se vediamo che il timore diventa pervasivo non esitiamo a chiedere aiuto. Parliamone!

7. Perché queste cose orribili accadono proprio alle brave persone?

Molti credono in un “mondo giusto”. Questo protegge la loro autostima e la loro ansia circa la mortalità e vulnerabilità. Il cervello deve risolvere il paradosso del “siamo brave persone ma riceviamo lo stesso una punizione”. Questo crea una dissonanza spiacevole di cui proviamo a liberaci.
Mari: Questa è una di quelle domande-trabocchetto, cioè “irrispondibili”. Crogiolarvisi non ha utilità alcuna se non quella di prendere le distanze da quanto sta accadendo accanto a noi. Chiediamoci cosa significhi la parola “giustizia” e domandiamoci come, nel nostro piccolo, possiamo promuoverla ed esercitarla anche (e soprattutto) quando l’emergenza attuale sarà passata!
Simo: In alcuni casi il confronto in un gruppo può aiutare molto! Per esempio, nel nostro lavoro esistono gruppi per ragazzi con balbuzie o gruppi per persone che hanno subito un intervento alla laringe e si trovano con una voce diversa. Può essere difficile adattarsi a situazioni nuove, ma la condivisione allevia il disagio perché si divide la fatica. Parliamone!

8. Se vuoi far innervosire il tuo cervello, mettilo in condizioni di incertezza!

Le situazioni prevedibili ci danno un falso senso di controllo. La situazione attuale ci mette davanti ad una nuova realtà che il cervello trova indesiderabile. Il lobo frontale combatte per trovare dei dati/parametri che diano fiducia e su cui possa pianificare il futuro.
Simo: Insieme al “Quaderno dell’efficacia comunicativa”, un altro lavoro che spesso proponiamo noi logopedisti è la simulazione di situazioni difficili. Per esempio, con adolescenti balbuzienti simuliamo l’interrogazione con il prof antipatico, o il momento imbarazzante delle presentazioni agli sconosciuti. In questo modo sperimentiamo strategie e risposte da poter riprendere con successo in futuro.
Mari: Pianificare è difficile ma sognare è sempre concesso: un altro esercizio che propongo spesso ai miei pazienti, piccoli e grandi, è quello di pensare ad una lista dei desideri, i più concreti possibili. Qual è la tua?

9. Non ci piace apparire vulnerabili.

Viviamo in una società individualistica. Ci piace apparire capaci, auto-sufficienti. Il cervello prova tutti i possibili stratagemmi per proteggere questa immagine e si sente minacciato quando fallisce. Le situazioni di emergenza possono smascherare molte delle nostre vulnerabilità.
Simo: A nessuno piace mostrarsi vulnerabile! E quando ci sentiamo minacciati, a volte rispondiamo protestando, oppure negando ciò che è evidente. L’ho osservato tante volte, sia nei bambini che negli adulti: qualcuno finge che vada tutto bene, qualcun altro appare volutamente oppositivo. In questo caso, propongo di abbassare le armi e cooperare: concordiamo insieme gli obiettivi da raggiungere.
Mari: La cooperazione è una delle strategie relazionali più difficili da mettere in pratica: le eccezioni sono costituite dalle emergenze. Immaginate di finire su un’isola deserta con altre 10 persone: l’obiettivo condiviso sarà quello di costruire una zattera sufficientemente solida da poterci navigare. Qual è oggi il nostro obiettivo condiviso? Qual è la nostra zattera metaforica?

10. Perché è così difficile concentrarsi?

Le nostre risorse attentive sono limitate. Non siamo così multi-tasking così come pensiamo. L’informazione saliente cattura la nostra attenzione a prescindere dalla nostra volontà. E ora il nostro spazio attenzionale è monopolizzato da tutto quello che riguarda il coronavirus. Simo: Anche la neurobiologia conferma quello che gli studi psicologici ci dicono già da tempo. Quando siamo catturati da un pensiero o un’emozione, non riusciamo a fare null’altro. Proviamo a dare spazio a questi pensieri?
Mari: Il web offre pratiche meditative che possano rilassare le tensioni e offrirci occasioni di attenzione al qui e ora. La consapevolezza del proprio corpo che si muove (o che si sofferma) nel mondo, rende più capaci di sentire ciò che ci succede dentro e ciò che avviene fuori da noi: ci rende più capaci di osservare l’intera fotografia del momento presente. Cercate il vostro esercizio di meditazione preferito e dedicategli un po’ del vostro quotidiano. Account instagram interessante: semi.di.yug
Simo: Dopo aver ascoltato i nostri pensieri, ecco alcune strategie che ci possono aiutare nel recuperare la concentrazione. In primis: routine! Poi: definiamo obiettivi chiari e mete raggiungibili. Scomponiamo le attività gigantesche in piccoli compiti più facilmente gestibili. Definiamo tempi e spazi realistici: se in ufficio concludo una relazione in due ore, a casa i tempi si dilatano per via di mille distrazioni e altri doveri. Consigliatissimo: le autoistruzioni verbali. A volte abbiamo bisogno di darci degli ordini per concludere i nostri progetti. Non abbiamo paura di ripetere a voce alta cosa dobbiamo fare! Riusciremo a darci un ritmo interno e a verificare mentalmente il buon andamento del nostro lavoro (come dei piccoli “checkpoint” militari). Molto efficace!