C’è ancora domani

 

Venerdì sera, cinema Romano nella Galleria Subalpina di Torino.

Sala che si affolla con discrezione e gentilezza: non mi ero accorta di quante persone ci fossero fino ai titoli di coda quando un applauso corale e convinto mi ha stupita.

 

-Spoiler alert-

 

La storia che ci racconta Paola Cortellesi in “C’è ancora domani” è emozionante e coraggiosa: ambientata nell’Italia del 1946, ha come protagonista una famiglia impegnata, da un lato a riguadagnarsi la libertà di esistere e dall’altro di evitare di concederla.

Per la prima volta le donne eserciteranno il loro diritto di voto e per la prima volta nella storia, la politica avrà il dovere di rappresentare -almeno sulla carta- la volontà di tutta la popolazione italiana.

La commozione sul finale è “tridimensionale”: Delia, la protagonista, sceglie di “cantare a bocca chiusa” * i suoi diritti di fronte agli occhi increduli e al contempo fieri della giovane figlia Marcella.

Per arrivare a questi sguardi, le due dovranno avere la pazienza di aspettarsi e l’impazienza di trovarsi.

Il rapporto madre/figlia fa da sfondo a tutta la vicenda che Cortellesi racconta, rapporto che cambia insieme alla crescita dei personaggi.

Il legame tra Delia e Marcella  attraversa diverse fasi con la stessa rapidità e naturalezza con cui si entra in una stanza.

Se dovessimo immaginarci i luoghi che la loro relazione abita potrebbero proprio essere quattro “stanze”.

La prima avrebbe sulla porta la scritta “Tradimento”.

Le pareti di questa camera avrebbero il colore della disparità di genere, della cultura intesa come privilegio maschile. La ragazza trova questa condizione ingiusta e frustrante: desidera, tanto quanto ne ha bisogno, una mamma forte e dignitosa capace di imporsi per lei. Delia, dal canto suo, non è troppo interessata al giudizio sprezzante della figlia purché Marcella sia, secondo lei, protetta.

La seconda stanza sarebbe quella della “Complicità”, dove mamma e figlia tornano ad avere i “giusti” ** ruoli: la ragazza chiede accudimento e la madre risponde con una promessa di cura che diventa già rassicurante. Vi entrano quando Delia tranquillizza Marcella e le promette di gestire per lei sia i due fratellini impertinenti e sboccati sia Ivano, il padre beone e violento.

La terza stanza è quella del “Déjà-vu”: la trasmissione intergenerazionale della violenza viene qui raccontata con grande verosimiglianza. Marcella critica, durante tutto il film, le scelte della mamma, la reputa colpevolmente debole, incapace di imporsi e di affermare la propria identità.

È dunque con stupore che lo spettatore vede cadere la ragazza in una relazione disfunzionale come quella della madre col padre, avendo immaginato invece un suo riscatto sociale e affettivo.

Vorrei poter dire che mai come in questa scena il bianco e nero del film sia appropriato, utile a sottolineare l’anacronismo di questi modelli sociali e relazionali, ma le statistiche ci raccontano come queste dinamiche siano ancora quanto mai attuali.

“I figli che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre o che l’hanno subita hanno una probabilità maggiore, infatti, di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime. Dai dati emerge chiaramente che i maschi imparano ad agire la violenza, le femmine a tollerarla.”  ***

I dati clinici ci dicono che non basta sapere che qualcosa è “sbagliato” per non viverlo (e subirlo): le politiche di prevenzione hanno e avranno sempre un peso che ancora si sottostima.

Purtroppo nulla di queste sequenze cinematografiche è ancora superato: nè la violenza agita da Ivano nè quella subita da Marcella.

La quarta stanza è infine quella dell’ ”Appartenenza”. Qui le tinte ai muri sarebbero fresche, appena date. Il profumo della vernice sarebbe messaggio di novità: la porta aperta per permettere l’ingresso a tutte le Delie e le Marcelle che ora si riconoscono reciprocamente. Diverrebbe cabina elettorale, scalinata regale da percorrere, un posto al sicuro dove affermarsi, dove ritrovare un’identità, anche collettiva.

È la stanza in cui è possibile cantare.

È ancora venerdì sera, le luci di Torino accompagnano gli spettatori a casa: il film diventa argomento di confronto fra due donne che escono dalla sala dietro di me.

Lo descrivono come audace e toccante: sono d’accordo.

Marianna

 

C'è ancora domani Paola Cortellesi

 

* A bocca chiusa, Daniele Silvestri

** Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano.

** https://www.circleofsecurityinternational.com/circle-of-security-model/what-is-the-circle-of-security/

*** https://www4.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famig/fattori-di-rischio